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La Galleria Doria Pamphilj possiede due quadri di Claude Lorrain. Non c’é nemmeno un Poussin, purtroppo. Ma é normale che sia così, chi collezionava l’uno in genere non apprezzava l’altro. Poussin lavorava per degli intellettuali , come Cassiano dal Pozzo o Chantelou, mentre Lorrain era richiestissimo dall’aristocrazia romana, come Lorenzo Onofrio Colonna, o straniera (1). Camillo Massimi rappresenta una delle rare eccezioni, essendo al contempo grande amico di Poussin e proprietario di cinque Lorrain. Comunque, vorrà dire che dovrò arrangiarmi con Annibale.
Secondo Roger Fry, Lorrain era uno stupido che ha fatto dei capolavori. Confonde ignorante con stupido. Lorrain era un uomo poco colto che ha fatto dei capolavori. Anche in questo il contrario di Poussin, non era un teorico e non ha lasciato scritti. Restano in tutto tre sue lettere, dove la grammatica bisticcia con l’ortografia, a volte in modo divertente (« pance du prince panfille », significa pensée du prince Pamphilj, idea del principe Pamphilj). Sembra anche che avesse seri problemi a contare oltre il dieci. Tanto, per quello che gli interessava nella vita, non serviva. E’ proprio di questo che voglio parlarvi.
Le due tele della Collezione Doria Pamphilj furono comprate dal principe Camillo nel 1650. Si era così risarcito di altri due quadri di Lorrain che in precedenza aveva dovuto cedere al duca di Bouillon e che oggi si trovano alla National Gallery. Li aveva ceduti perché suo zio era molto arrabbiato. Camillo era cardinal nepote, nipote dello zio papa, Innocenzo X.

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Un cardinal nepote è utilissimo, perché almeno di lui vi potete fidare, in quella giungla della Curia. E poi servirà gli interessi della famiglia anche dopo la morte del papa, sino a diventare, con un po’ di fortuna, papa lui stesso. Adesso non vi sto a annoiare con cose dette e ridette, ma quando si ha una madre come Olimpia Maidalchini e uno zio come Innocenzo X, c’è poco da discutere : diventate cardinale, e zitto.

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Sino a quando compare all’orizzonte la leggiadra Olimpia Aldobrandini, che accidentalmente si trovava anche a essere la più ricca ereditiera di Roma. Il cardinale Camillo getta il cappello alle ortiche, ritorna principe e sposa la principessa. Zio e mammà se la prendono molto, perché non c’erano altri nipoti nei paraggi (2), e gli sposi vengono esiliati a Frascati, nella meravigliosa villa Aldobrandini. Avanzavano quei due quadri ordinati a Lorrain, rimasti a Roma, e Camillo, che ormai ha altri crucci, piuttosto che recuperali li vende al duca di Bouillon. Erano il Matrimonio di Isacco e Rebecca e l’Imbarco della Regina di Saba. Il primo viene rifatto tale e quale e è quello che vedete oggi nella collezione Doria Pamphilij. Solo che nel frattempo aveva cambiato nome e si chiamava Paesaggio con figure danzanti. Questo titolo sembra molto più appropriato, poiché del matrimonio d’Isacco e Rebecca non si vede la traccia (3).

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In un vasto paesaggio un gruppo di personaggi, suona, balla e s’intrattiene amenamente. Il suonatore in centro é abbigliato all’antica e suona un aulos. In altre figure, come nel gruppo seduto a sinistra, gli abiti sembrano atemporali se non addirittura contemporanei. A destra pascolano placide delle vacche. Due quinte di alberi inquadrano al centro un fiume attraversato da una cascatella e bordato dalla campagna. In fondo svetta una montagna, probabilmente il Monte Cavo. Dietro gli alberi a destra si vede un mulino.

La composizione é strutturata secondo linee verticali (gli alberi e le figure) e orizzontali (la radura in primo piano, la cascatella, la striscia di terra nel fondo).

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Forte è l’analogia con il San Giovanni Battista battezza sulle rive del Giordano, del Domenichino, conservato al Fitzwilliam Museum di Cambridge. Nel quadro di Lorrain emana dall’orizzonte la calda luce del pomeriggio,  s’infiltra tra le fronde degli alberi e schiarisce quelle più lontane da noi, lasciando il primo piano in una fresca penombra. Alla vivacità delle figure che danzano risponde la placidità del paesaggio, dove l’acqua è tranquilla come gli animali. Le figure sono piccole e variopinte, la natura é immensa e resa con toni freddi. La coerenza antiquaria non sembra essere una preoccupazione, poiché il suonatore di aulos è una citazione antica, volta a compiacere il nobile committente, ma non impone agli altri personaggi di appartenere alla stessa epoca.

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La studiata organizzazione del paesaggio, incontrastato protagonista dell’opera, s’iscrive a pieno diritto nel paesaggio classico, quello inaugurato dalla lunetta Aldobrandini di Annibale Carracci che vediamo sulla stessa parete di questa galleria. Non si tratta pero’ dello stesso classicismo. Anche Tiziano è classico, ma non come Raffaello. Il paesaggio di Lorrain costituisce una variante, la variante lirica. Certo, poiché è classico, esclude il naturalismo olandese, che pure gli era familiare, avendo studiato con il tedesco Wals a Napoli e poi con Tassi. Sappiamo da Sundrart che Lorrain passava intere giornate nella campagna romana per studiare le variazioni della luce, fissate in magistrali disegni giunti sino a noi. Il dato reale così annotato viene però sublimato in una composizione ideale.

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L’influenza del compatriota Poussin ha fortemente contribuito dalla metà degli anni 1640 a rendere i suoi paesaggi più ampi e magniloquenti. Nel tardo Poussin, come nel Funerale di Focione , l’uomo, insignificante, è immerso in un universo grandioso, superiore e indifferente. Ma é sull’uomo che Poussin riflette. Lorrain invece non si cura di questo incidente del creato e quando rappresenta personaggi mitologici o storici li accetta come concessione all’erudizione del committente. E’ vero, non rinuncerà mai a popolare le sue opere con dei comprimari, sebbene fosse maldestro a dipingere le figure, al punto d’affidarle a volte a degli specialisti. Gli uomini forniscono un pretesto al paesaggio– nel quadro Doria si tratta di una festa campestre – ma soprattutto costituiscono il suo faire valoire . E’ proprio perché lui non è pittore filosofo, che non può concepire la Natura senza un uomo che la guardi. A lui piacciono la luce, la poesia di una radura, l’emozione di un tramonto sfolgorante, tutte cose che esistono solo se c’é qualcuno a viverle e a ammirarle. Il mistero della Natura eterna, la pallida luna a cui parla il pastore errante, non sono affar suo.

E non andate a cercare nei suoi personaggi quella cosa inutile e ingombrante che chiamano psicologia. Figurine, comprimari, ma lieti di esserci. Lo vedete, no? L’acqua é tranquilla, le bestie placide, il cielo sereno, gli uomini allegri. Dai quadri di Lorrain emana un’aria di felicità, come il trovarsi di fronte a un mondo soddisfatto e immemore, che esiste solo nel momento presente. Coglie una verità della vita, Lorrain, ma di quelle che sfuggono all’analisi intellettuale: ci sono poesia e bellezza nel mondo. Basta. E giustamente scrive Friedlander che la sua arte s’inaridisce appena la si sottomette al bisturi della ragione.

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Badate bene, il pittore è abilissimo e questo non avviene per caso. Quel mulino a metà profondità della tela serve a rallentare la visione. L’occhio inconsapevolmente pausa in quel punto, mentre al di là il fiume si stende piano e ampio. E’ come in musica un ultimo accordo prima di una scala di note perlate che sfumano lontano, come qui la montagna all’orizzonte. Il forte e il piano, il pieno e il vuoto, il verticale e l’orizzontale contribuiscono all’equilibrio dell’immagine. Rendere una sì grande profondità è un problema arduo, per un pittore. Lorrain impiega sia la prospettiva atmosferica dei fiamminghi, con gli strati d’aria azzurrastri nel fondo e i colori scuri in primo piano, che le linee della prospettiva geometrica convergenti verso la montagna. Qualcuno se n’era accorto ? No, perché la sua verità è fatta di facilità. Il mondo si dà, la pittura si dà : nel contemplare con gioia l’uno e l’altra celebriamo l’incanto di essere vivi. Non é stupido per niente, il signor Lorrain, ma quello che gl’interessa la ragione non può trovarlo.

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Di Lorrain la collezione Doria Pamphilij possiede anche la Veduta di Delfi con processione. E’ il suo primo quadro con un’importante componente archeologica, l’immaginario tempio di Delfi, ed é possibile che il soggetto gli sia stato suggerito da Camillo Massimi.

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In seguito riprenderà lo stesso tema per Massimi ed é molto probabile che questi lo abbia pregato di fare stavolta le cose per benino e di non inventarselo, quel tempio, visto che Giustino l’aveva descritto. Ma decisamente la filologia doveva annoiarlo e lui lo dipinge  nostrano come il salame, facendone una specie di tempio della Sibilla a Tivoli.

Il quadro Doria é datato 1650 e sul parapetto del ponte il pittore, in modo del tutto inconsueto per lui, ha scritto  Hac itur ad Delphes, questa é la strada per Delfi, per accertarsi che lo sapessimo. Ma che paese é Delfi, per lui ?

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Il quadro é stato ordinato da Camillo Pamphilij per fare pendant con il precedente e alla sua morte nel 1666 si trovavano entrambi alla Villa Belrespiro (4). Questa era un cenacolo d’intellettuali, come Massimi e Bellori. E’ molto probabile che la loggia a sinistra del quadro e i rilievi sul tempio siano una citazione della villa.

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Stavolta la composizione é più complessa che nel quadro precedente. L’albero in centro separa la dimensione degli uomini, a destra, da quella degli dei, a sinistra. Una processione fa la transizione e sembra incamminarsi dalla realtà, resa con  colori saturi e la narrazione del gruppo di donne, a quella del sogno, dove la luce fonde nel pulviscolo il tempio grandioso e i personaggi diventano macchioline. A destra il paesaggio è profondissimo e lascia vedere l’acquedotto, opera degli uomini, in rovina. Il tempio s’impone in una visione più ravvicinata e è intatto, perché immaginario. Mi fa ridere la palma nascosta dietro l’albero in centro, per farci capire che quello è un posto molto esotico, mica la campagna romana.

Non per niente Lorrain, francese, ha passato quasi tutta la vita a Roma. Nel suo tempio di Delfi c’é un po’ del Pantheon e forse anche le colonne binate del Cupolone. Per la processione avrà guardato a qualche suovetaurilia, quello dei Medici oggi agli Uffizi o il sacrificio con Marco Aurelio ai Capitolini. Non so se conosceva il rilievo di Domizio Enobarbo oggi al Louvre, che mi sembra il più vicino. Non importa, tanto non é la citazione colta a rendere quest’opera così affascinante. E’ il suo tono di racconto di favole, il clima fantastico e soprattutto l’incanto straordinario della luce. Questa viene dal fondo, dal sole che sorge – é l’aurora – e attraverso una cortina di nuvole trasparenti s’irradia in un pulviscolo che sfalda il mondo. Il tempio, non solenne, non remoto, non archeologico, è in un paese dove Lorrain è andato assai spesso, appena passato il ponte e lasciata l’ombra. E’ il paese, vero, verissimo, dove tutto è fatto della materia di cui sono fatti i sogni.

Certo, in Lorrain c’è il medium, l’aria, la luce come fenomeno fisico. A Poussin la sola idea avrebbe fatto orrore, a Turner invece è piaciuta molto. La posterità di Lorrain è stata importante, ma fuori da Roma. Questo è un discorso penoso e io mi risparmio la pena. Grazie al cielo, l’atteggiamento di Lorrain verso la pittura dispensa lo storico dall’accanimento erudito. Tanto, come dice il principe Tancredi nel Gattopardo al cafone Calogero Sedara, che esibiva una decorazione del neonato regno italiano, «Qui, non basta ».

Forse perché io sono un romano che vive a Parigi, ma sono molto fiero che i due massimi artisti francesi del XVII secolo abbiano vissuto a Roma. Hanno colto in Roma due caratteristiche delle quali avevano bisogno per vivere. Poussin l’Idea, il senso drammatico della storia e del ruolo ch’essa riserva agli uomini. Lorrain la leggerezza del vivere, la bellezza commovente del mondo e una sensazione di vaga, inconsapevole eternità.

Note

1) Nel XVIII secolo la metà dei quadri di Lorrain si trovava in Inghilterra. Essi contribuiranno sensibilmente alla concezione del giardino all’inglese. Oggi a Roma restano pochissimi suoi quadri, quasi tutti in collezioni private. Uno studio della fortuna critica di Lorrain in Italia sarebbe opportuno. La più importante presenza di quadri di Poussin lascia pensare all’imporsi della corrente classicista più erudita su quella lirica, rappresentata da Lorrain.
2) Dovranno ripiegare su un lontano parente, Astalli, ma con un pessimo esito
3) Il Matrimonio d’Isacco e Rebecca era un soggetto scelto come encomiastico di quello tra Camillo e Olimpia. E’ possibile che dopo la disgrazia della coppia il quadro, non finito, sia stato modificato.
4) Il Paesaggio con danza campestre é ambientato al pomeriggio, la Veduta di Delfi all’alba. Va ricordato che Camillo condivideva il gusto per il paesaggio e i giardini con la moglie Olimpia. Lo trasmetteranno al figlio cardinal Benedetto, che creo’ al Priorato sull’Aventino dei giardini famosi.