Questa è la storia della Tazza Farnese, che c’entra poco con Roma ma molto, moltissimo con noi.

Quando è nata nessuno lo sa, però sappiamo dove, a Alessandria d’Egitto, e quelli che la vorrebbero romana, seppur eseguita da esperti lapicidi alessandrini , mi pare dispongano di magri argomenti. Non sappiamo per chi è stata fatta, un Tolomeo, una Cleopatra, recentemente si è detto la settima, cioè la più famosa. Certo fu fatta per un sovrano d’Egitto, perché solo un re o una regina potevano commissionare un’opera di questo valore, per la cui esecuzione occorrevano anche due anni. Non sappiamo neppure esattamente cosa vi sia rappresentato.

        

Riconosciamo Iside o Iside-Demetra, una probabile allegoria del Nilo, un giovane che verosimilmente è Trittolemo, ma la storia che raccontano è stata così variamente declinata, e le incongruenze così numerose – perché Trittolemo, al quale Demetra aveva insegnato l’arte dell’agricoltura, oltre all’aratro e alla bisaccia con le sementi, ha un coltello ? – che l’unica conclusione è che, pur trattandosi di un’allegoria della prosperità,  il significato esatto resta ignoto.

Un oggetto di questo valore non poteva sfuggire a Augusto e è molto probabile che dopo il suicidio di Cleopatra, nel 30 a.C., la tazza sia stata portata a Roma. Seguono secoli di silenzio ma, oggetto regale, non poteva che seguire l’imperatore a Costantinopoli. Allora nel 1204, col sacco di quella città, i veneziani l’avranno trafugata, come hanno fatto con tanti capolavori antichi di glittica, dei quali molti si trovano ancora nel tesoro di San Marco.

Certo è che il 4 novembre 1239 due mercanti provenzali si presentano dallo Stupor Mundi, l’Imperatore Federico II, uno dei personaggi più straordinari della storia. Gli offrono la tazza. Federico è in guerra,le sue casse sono vuote, poco tempo prima non aveva potuto pagare 4 once d’oro per due scudieri e tre cavalli. Quando vede la tazza Federico paga 1230 once d’oro. 

Poi di nuovo silenzio, ma agli inizi del XV secolo un calligrafo persiano la disegna, fedelmente…a Samarcanda ! Era finita lì ? E come ? O ha copiato un disegno, e allora perché, a Samarcanda ? Riappare a Roma, dove la stupefacente collezione di gemme di Paolo II sembra la sua collocazione ideale. La collezione fu dispersa da Sisto IV, che vende la tazza a Lorenzo il Magnifico.  Dunque, ricapitoliamo, un re d’Egitto, Augusto, Federico II, Alessandro il Magnifico…conoscete un altro oggetto al mondo con un simile pedigree?

                                                                      

Leonardo conosceva la collezione di Lorenzo e avrà avuto ben presente la Medusa  incisa all’esterno della tazza quando decise di dipingere una  Medusa su uno scudo. Vasari c’informa che per comporre un’immagine terrificante Leonardo portò in una stanza lucertole, ramarri, grilli, serpi, farfalle, locuste, e che le bestie cominciarono a imputridire emanando un odore pestilenziale. Ma Leonardo non se ne preoccupava,  « per il grande amore che portava nell’arte ». L’opera è una delle molte che Leonardo non finì  e oggi è scomparsa. Forse ne resta un’eco, in questo caso assai pallida, in un piatto che si trovava a Cafaggiolo e oggi è al Victoria&Albert Museum.

Ci sarebbero ancora un’Asburgo e qualche Farnese di mezzo, ma la faccio corta, la Tazza finisce, col resto della collezione d’antichità dei Farnese, al Museo Archeologico di Napoli.  Intatta, capite? Una tazza di sardonica, che avrebbe potuto cadere e spaccarsi mille volte, aveva attraversato circa ventidue secoli  perfettamente integra. Nel 1925 un guardiano del museo, impazzito, fracassa la vetrina e con un ombrello rompe la tazza. Pazienza, l’hanno restaurata, potete ancora vederla. E nessuna foto può rendere lo stupore davanti a quest’oggetto magnetico.

In conclusione,  della Tazza Farnese non conosciamo l’origine, la causa, l’artefice,  non capiamo esattamente quale sia il messaggio che vuole comunicare, ma sappiamo che è molto preziosa e conosciamo il suo meraviglioso, incredibile viaggio. E nessuno potrebbe negare che è stato un viaggio bellissimo. Per ora la tazza c’è ancora, pur avendo subito col tempo dei danni; ma anche se un giorno non dovesse esserci più, prima ci sarà stata. Insisto: noi assomigliamo come due gocce d’acqua alla Tazza Farnese.