Oggetto di questo articolo è il fenomeno dei romitori all’interno dei palazzi romani del XVII secolo. Fenomeno marginale, certo, eppure spia di una traiettoria culturale, che va  dalla fede contro riformata al gusto per il pittoresco a uso mondano.

Nel 1610 Lanfranco terminava di dipingere il romitorio del cardinale Odoardo Farnese[1]. Un cavalcavia privato collegava il palazzo a un casino che si trovava al di là di via Giulia[2], addossato alla chiesa di Santa Maria dell’Orazione e Morte. Dedicato agli svaghi,  era stato dipinto dal Domenichino con soggetti tratti da Ovidio e era dotato di un giardino aperto sul Tevere. Presso il casino si trovava però uno spazio di segno totalmente opposto, il romitorio. Decorato dal Lanfranco con quattro affreschi sulle pareti e nove tele sul soffitto, raffiguranti scene di eremiti (San Simeone lo Stilita, Sant’Antonio Abate etc.)[3],  arredato di pochi mobili elementari, questo locale era dedicato all’isolamento e alla preghiera, divenendo così una sorta di negativo del grandioso palazzo Farnese. L’unica finestra del romitorio affacciava sull’interno della chiesa, dove  la confraternita[4] che vi aveva sede  teneva suggestive funzioni notturne, con gli uomini incappucciati e le dame velate di nero. In particolare, ogni penultima domenica del mese si teneva una cerimonia delle Quarantore , con esposizione del Sacramento. Il cardinale poteva usare allora il romitorio come una sorta di coretto, per assistere, non visto, alle funzioni.   Controversa è la personalità di Odoardo Farnese, insofferente della carriera ecclesiastica impostagli dalla famiglia, e la sincerità del suo anelito all’isolamento e alla preghiera può essere dibattuta.  Il suo romitorio è comunque il prototipo dei numerosi altri che seguiranno nella seconda metà del Seicento a Roma.

I romitori che seguiranno non saranno più annessi a una chiesa ma situati all’interno dei palazzi, in un ammezzato riservato all’uso privato del proprietario. Si trattava di  piccoli locali, decorati il più sovente con materiali effimeri, causa questa della loro scomparsa, che simulavano la grotta di un eremita.  Mobili specifici erano creati per il loro arredo, a imitazione della paglia, della roccia, di tronchi[5]. Al romitorio potevano  essere annesse altre stanze, tra le quali una biblioteca con testi sacri.

                                           

Il cardinale Flavio Chigi si fece costruire un  romitorio nel giardino del casino che aveva alle Quattro Fontane,  all’angolo tra l’attuale Via Depretis e Via Nazionale[1]. Luogo di studio e di delizie, nelle sei stanze del primo piano del casino Flavio Chigi teneva quadri di minore importanza e i bozzetti del Bernini, oggi conservati ai Musei Vaticani[2]. All’ultimo piano, il terzo, aveva trasferito da Formello la collezione di naturalia e mirabilia, cioé una vera wunderkammer romana. C’erano letti all’indiana, abiti di penne di pappagallo, stendardi turcheschi, denti di gigante, uova di struzzo, zampe di animali appese al soffitto, con un effetto simile al gabinetto di Settala o alla collezione di Athanasius Kircher. Nulla di tutto questo sopravvive: la wunderkammer, passata d’attualità con l’Illuminismo, fu dispersa; il casino delle Quattro Fontane venne venduto nel 1831 alla famiglia Roesler Franz[3] e infine demolito per l’apertura della Via Nazionale. Non nel casino ma nel giardino, a indicare l’isolamento proprio a un anacoreta, fu edificato il romitorio. Giuseppe Chiari ricevette un pagamento nel 1675 per aver dipinto su una parete un eremita e, sulla parete opposta, Venere[4]. Chi avesse rinunciato alla meditazione,  preferendole Venere, sarebbe stato punito: avvicinandosi a quella parete dei getti d’acqua nascosti nel pavimento lo avrebbero “raffreddato” . Flavio Chigi conosceva bene l’attrazione esercitata da Venere, al punto da farsi dipingere i ritratti delle  37 più belle dame che frequentava, oggi conservati nel Palazzo Chigi d’Ariccia[5]. Grazie a Maria Mancini, principessa Colonna, intima amica del cardinale, sappiamo come il prelato risolveva il conflitto tra pulsioni della carne e stato ecclesiastico. Maria Mancini nelle sue Memorie[6] ,pubblicate a Colonia, riferisce uno scherzo fatto al cardinale insieme al marito Lorenzo Onofrio Colonna. I Colonna si recarono nel casino alle Quattro Fontane sapendo che quella notte il Chigi vi avrebbe dormito, e si nascosero…dentro il suo letto. Il cardinale entrò, si svesti e s’inginocchiò davanti al crocefisso. Maria Mancini precisa che ciò era contrario alle sue abitudini ma « il avoit peut- être à faire quelque tour romanesque, le jour suivant ». [7]

Flavio Chigi possedeva un altro romitorio nel palazzo dei Santi Apostoli, che intorno al 1667 fu dipinto da Vincenzo Corallo con paesaggi abitati da  eremiti, contenuti in cornici dorate . Vincenzo Corallo, padre del più noto Francesco[1], era  indoratore[2] e cartapistaro , e aveva lavorato a vari soffitti dipinti con motivi ornamentali  nel palazzo. Haskell fornisce un giudizio molto mitigato sulla competenza di Flavio Chigi in materia d’arte[3] e sappiamo che il cardinale si consultava regolarmente col Bernini, per il quale Vincenzo Corallo aveva dorato  la cattedra di San Pietro oltre alla cupola e l’altare maggiore di Sant’Andrea al Quirinale. Che Odoardo Farnese avesse scelto il Lanfranco per delle figure di eremiti intrise di pathos, come dimostrano gli esemplari conservati,  è coerente con la funzione del romitorio, e la rinforza. Che un doratore esperto di ornamentazione e quadratura sia stato chiamato per dipingere gli stessi soggetti, e ciò, presumibilmente, non all’insaputa del Bernini,  lascia immaginare  che la funzione del romitorio fosse  scivolata da luogo di meditazione  a spazio mondano. Il romitorio si raggiungeva tramite una piccola scala a chiocciola, che dall’alcova della Camera da letto di parata[4] conduceva al piano superiore, forse il mezzanino[5].  Qui, il  locale di modeste proporzioni– 3,35×6,25 – era dotato di due tavoli, di un inginocchiatoio e soprattutto di una bussola passavivande. Ciò lascerebbe pensare che il cardinale vi trascorresse abbastanza tempo da necessitare che il cibo gli venisse servito attraverso quel sistema d’isolamento, proprio ai monasteri. Le passioni mondane di Flavio Chigi sono ben note[6], tanto da rendere difficile credere che l’uomo avvolto in una preziosa vestaglia, dipinto da Voet, che colleziona i ritratti delle Belle e, secondo Maria Mancini, non ha l’abitudine di pregare prima di coricarsi, poi trascorra lunghe ore a macerarsi in orazioni nel romitorio. Credo si debba quanto meno contemplare l’ipotesi che quella bussola fosse solo una sorta di “citazione”,  segno della vita monacale, che, all’interno di un sontuoso palazzo e giustapposta alla pubblica Camera di parata,  acquisiva un carattere pittoresco e contribuiva all’originalità dell’ambiente.

Gli inventari ci restituiscono una descrizione precisa del romitorio di Palazzo Rospigliosi, oggi Pallavicini Rospigliosi[1]: “Un parato di tele come Arazzi dipinte a  Boscherecce” con  sedie, inginocchiatoio e letto scolpiti a imitazione di rocce. Vi si trovavano una statuina di Gesù Bambino, una croce, due vasi di cristallo contenenti reliquie e, in una stanza annessa, una libreria chiusa a chiave. Un vero decoro teatrale, dunque, dal quale gli eremiti sono completamente scomparsi, realizzato con quinte dipinte che imitano la foresta e che non esclude oggetti preziosi come i vasi di cristallo. Sappiamo che la chiave della libreria era custodita da Maria Camilla Pallavicini, principessa di Zagarolo, quindi stavolta il romitorio era di pertinenza  di una donna, che vi conserva letture edificanti.  Il romitorio era inserito in una serie di cinque stanze elegantemente arredate, in una figuravano 59 quadri con una prevalenza di paesaggi, evidentemente in rapporto col decoro del romitorio, in un’altra si trovava una scarabattola intagliata e dorata con ninnoli d’avorio e cristallo di rocca e un piccolo microscopio da dama[2]. Tutto ciò lascia immaginare spazi riservati alla vita privata della principessa e ai suoi interessi personali, dove la meditazione religiosa, pur sincera, si svolge in un contesto artificiale e, per il resto dell’appartamento, dal sapore eminentemente profano. Giustamente Daniela Di Castro[3] afferma che”il romitorio costituisce quasi, per molti versi, un equivalente dello studiolo rinascimentale”, dove il signore del Rinascimento si ritirava, circondato da opere d’arte e oggetti scientifici, per meditare.

                                             

Quando il romitorio viene disegnato da un impareggiabile maestro dell’ornamentazione come Paolo Schor[1], il passo da spazio destinato al raccoglimento a spazio mondano è definitivamente compiuto. E stavolta abbiamo la fortuna di possedere due disegni, collezionati da Nikodemus Tessin il Giovane, che visitò i romitori Altieri e Colonna durante il suo viaggio a Roma, tra il 1687 e 1688, quando i lavori erano da poco ultimati. Entrambi i romitori avevano le pareti coperte da tele dipinte a imitazione di una grotta, disposte su un telaio di legno che conferiva alla stanza la forma irregolare di un antro. Il romitorio Altieri, a maggior verosimiglianza, aveva da un lato un pilastro che simulava la roccia, e dalla volta, tramite fili metallici abilmente occultati, pendevano foglie e petali di rosa,  il tutto di stagno. Qui si trovavano un letto, delle sedie, una fontana, a imitazione di tronchi d’albero o di pietra. A testimoniare dell’intenzione di conferire a questo spazio, ormai privo di riferimenti religiosi,  un carattere eccezionale, all’aspetto orrido della grotta[2] si abbinava, per opposizione, un oggetto preziosissimo, uno specchio di cristallo di rocca con la cornice incastonata di pietre preziose[3]. Tessin attribuisce allo specchio il valore esorbitante di 60.000 scudi. Schor, assiduamente impiegato dai Colonna, aveva  disegnato anche il romitorio di Lorenzo Onofrio. Stavolta la grotta presentava delle aperture che lasciavano vedere degli animali, raccolti intorno al luogo dove vive il supposto anacoreta.

In conclusione, il romitorio è corollario della mutazione dello statuto dell’aristocrazia nel corso del XVII secolo in Europa: la smilitarizzazione della nobiltà, a seguito dell’evoluzione assolutista degli stati nazionali, trasforma il soldato in cortigiano. Ne consegue lo sviluppo di spazi nuovi, destinati a “l’art de vivre”,  che diventano strumento d’identità per le élites, non più definite dal loro ruolo guerriero. Il Romitorio ne è una declinazione  tipicamente, anche  se non esclusivamente, romana, perché la spinta iniziale al ritiro e alla meditazione, nata dalla Controriforma, si trasforma nel corso del secolo in spazio mondano, che associa il pittoresco al favoloso. La sua posterità è importante: nel XVIII secolo genererà una moltitudine di folies, come l’Hameau de la Reine a Versailles, finte capanne dotate di rubinetti d’oro, dove il sant’uomo che medita sulle Letture è divenuto il lettore di Rousseau.

         

Roma ne darà ancora una volta una declinazione personalissima, proprio perché nata dalla tradizione seicentesca dei romitori, e eccelsa, nella meravigliosa Camera delle Rovine della Trinità dei Monti. La scenografia teatrale dei romitori di Schor, edonistica, autoreferenziale, pleonastica, diviene nell’opera di Clérisseau ispirata da Piranesi  una creazione visionaria e nostalgica,  che torna a essere luogo di fede e commozione, alle quali però la religione è ormai estranea, perché nascono dalla contemplazione della storia degli uomini.

 

[1] E’ possibile che Schor, stretto collaboratore di Bernini, che lo apprezzava al punto da consigliarlo a Luigi XIV, abbia lavorato anche al precedente romitorio di palazzo Chigi.

[2][2] Tessin lo definisce affreux, spaventoso. V. Witte, op.cit., pg.112

[3] “Au Palais Altieri l’on voit dans la piece, nom-meé l’Eremitage, un Miroir fort Magnifique de cristal de Montagne, orné sur un fond d’or, du poid de douze livres, avec des Diaments, Zaifres et Topasses, qu’on debite de la valeur de soixantemille Scudi’. Citato in Witte, op.cit, nota 40.

 

[1] V. P. Di Castro e P. Waddy, Palazzo Pallavicini Rospigliosi, 2000, pg. 227

[2] Ibidem, pg.282

[3] Ibidem, pg. 282

[1] Vincenzo Corallo,  nato nel 1594, nel  1667 aveva 73 anni. Mi sembra plausibile ipotizzare che l’indoratore Corallo al quale l’Archivio Chigi 483, al 18 luglio 1667, attribuisce le pitture di paesaggi e  eremiti del romitorio, sia l’insieme della bottega Corallo, il padre per la doratura delle cornici e il figlio per le pitture. Francesco Corallo (1643-1707) lavorerà assiduamente per i Chigi, sino a divenire guardaroba di Flavio, carica di responsabilità. Pittore più abile del padre, lavorerà per la corte Toscana e per i Colonna, nell’Appartamento della Principessa.

 

[2] Questa specialità implicava una conoscenza della pittura decorativa e della quadratura. I verbali d’interrogatori della polizia c’informano che molti si dichiaravano “pittori” di professione, perché erano indoratori. V. P. Coen, The Art market in Rome in the eighteenth century, 2019

[3] F ;Haskell, Mécènes et peintres (ed.francese), 1986, pg.290

[4] Verosimilmente il cardinale non ha mai dormito in quella camera,  dove si trovava il famoso letto descritto da Pietro de Sebastiani in Viaggio curioso dei palazzi e ville più notabili di Roma, 1683: il letto “non serve ad altro che farsi vedere dai forestieri, né l’alcova è mai abitata. Il letto è tutto di raso bianco pinto di fiori la maggior parte di Breughel”.

[5] P. Waddy, The 17th century roman palaces, 1999, pg. 313.

[6] V. C. Benocci, A pranzo con il cardinale Flavio Chigi, in I Chigi a Formello, 2009

[1] A.Marino, Abitare a Roma nel Seicento : i Chigi in città, 2017

[2] G. Incisa della Rocchetta, Del Giardino Chigi alle Quattro Fontane, in Strenna dei Romanisti, 1955

[3] Si tratta della famiglia di Ettore Roesler Franz, autore degli acquerelli di Roma Sparita

[4] A.Witte, Hermits in high society : private retreats in late Seicento Rome

[5] In seguito  a un furto ne restano oggi 27

[6] M.Mancini, Mémoires, 1676

[7] Quando Chigi volle mettersi a letto, lo trovò già occupato. Sul momento si spaventò terribilmente e emise un grido tale che la guardia svizzera accorse per vedere se sgozzavano qualcuno. Questa guardia più tardi dichiarò che, se non si fosse trovato un confessore per il moribondo, avrebbe chiamato per confessarlo il cuoco dell’Ara Coeli, suo intimo amico.

[1] V. Fabio Barry, Pray to thy father, in Barocke Inszenierung, 1999

[2] Il casino fu demolito nel 1731

[3] Sopravvivono oggi tre affreschi, conservati nella chiesa, e due tele, al Museo di  Capodimonte. Il programma complessivo, secondo A .Witte, si riferiva all’Eucarestia e sarebbe stato quindi in rapporto con la cerimonia delle Quarantore nella chiesa.  V. A.Witte, Il Camerino degli Eremiti, in Giovanni Lanfranco: un pittore barocco etc., 2001

[4] La Confraternita dell’Orazione e Morte fu fondata nel 1538 per dare sepoltura cristiana ai cadaveri trovati per strada e ai poveri che non potevano permettersi un funerale. Con mutate funzioni sopravvive ancora oggi.

[5] L’inginocchiatoio a finto « scoglio » conservato presso il Museo di Salisburgo potrebbe provenire da un romitorio romano. Viene oggi attribuito al Bernini, senza che le motivazioni dell’attribuzione siano, a mia conoscenza, pubblicate.