Quando preparavamo la tesi, i miei colleghi studiavano la pittura del Rinascimento o l’architettura classica, nobili temi . Trovavano strano che io studiassi un tavolino rococo. Quella tesi l’avevo strappata con la forza al mio professore, che non voleva saperne. Ma io avevo le idee chiare, come mi é sempre successo per tutto cio’ che é inutile : volevo parlare di leggerezza. C’é stato un momento nella storia dell’Occidente in cui gli uomini hanno creduto di poter essere infine leggeri.Leggeri e felici.

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Prima era la Vergine di Tiziano, quella dei Frari, a ascendere gloriosa al cielo ; prima la leggerezza era riservata all’anima e passava per l’etica. I corpi per riscattarsi dovevano sottomettersi a norme severe, dettate da Dio o dal dovere. Ma a metà Settecento le cose cambiano e  ormai saranno i corpi e le cose a esprimere leggerezza, lbertà dal dolore, dalla pena di vivere, dai limiti imposti dalla materia. La felicità non era più un progetto morale, era la condizione possibile e necessaria alla vita sulla terra e si traduceva in una certa estetica : il Rococo. L’arte rococo si affranca dalla metafisica e congeda la storia. Né futuro né passato, é un’arte dell’istante presente, che é tutto quello che abbiamo. Leggero leggero, il tempo di un soffio e già non c’é più. Adesso potete entrare con me nella chiesa della Maddalena.

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La facciata rococo é unica, in una chiesa, a Roma (1). Ma voi ignoratela e entrate. Passate la bellissima bussola con le porte ricurve e volgete un pensiero all’anonimo intagliatore che ha trascorso notti insonni a studiare come farle richiudere.

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Una volta all’interno, siete sotto una delle opere più sorprendenti del Settecento romano (2), ma tanto non la vedete perché é sopra di voi, quindi proseguite.

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Lo so che questa pianta ondulante – mistilinea é il termine esatto – vi sorprende, per non parlare della statua di cera di San Camillo de Lellis. Se non avessi il compito di parlare solo di cose che non cambiano assolutamente niente nel mondo, v’inviterei a sostare davanti all’effigie di quest’ aristocratico che nel Cinquecento decise di dedicare la vita ai malati incurabili. Ma ormai siamo quasi arrivati, a sinistra dell’altare c’é un arco che conduce alla Sagrestia. Ecco, era qui che volevo portarvi. Ora fermatevi. Ma sappiate che cio’ che sta per succedere non é bello per niente. Esattamente come Groucho Marx, anch’io ho delle opinioni che non condivido.

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La sagrestia della chiesa della Maddalena é un luogo straordinario, unico a Roma e ignorato dai più. All’inizio si é sopraffatti dalla ridondanza degli elementi : enormi credenzoni, pittura ovunque, prospettive illusionistiche, come nella parete di fondo, che simula una profondità che non cé. Poi il cervello comincia a fare un po’ d’ordine, almeno il mio, che non prova nessun piacere a essere sopraffatto. Studio, cerco di capire e poi ho l’impressione che il mondo sia un poco più in ordine. Non vi sto a dire quanto funzioni.

Questo spazio é nato come refettorio per essere più tardi trasformato in sagrestia. Allora fu realizzata la decorazione pittorica.

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Era il 1748 e ci lavorarono due artisti. La finta architettura e le prospettive sono l’opera di un quadraturista – cioé uno specialista di pittura illusionistica –Domenico Vellani. Questo genere di artisti lavorava spesso anche per i teatri e Vellani é stato lo scenografo della prima opera rappresentata al Teatro Argentina, La Berenice del Sarro, nel 1732. Nella sagrestia ha dipinto tutta la parte ornamentale, le finte finestre che rispondono a quelle vere sul lato sinistro, e la balaustra. Questa si apre sul cielo. Qui arriva il suo collega Girolamo Pesce, allievo di Maratta e specialista di figure. Il Pesce ha dipinto la Vergine che accoglie San Filippo Neri e San Camillo de Lellis. E fa benissimo, perché mentre gli altri santi passavano il tempo a svenire quando gli appariva il Signore o subalterni, loro educavano i bambini e curavano i malati. Fino a qui, tutto bene.

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L’elemento che stupisce sono i mobili, cioé gli immensi credenzoni (3) : sei, divisi per coppie con tre modelli diversi. Dotati di spesse modanature, hanno ricevuto una pittura a finto alabastro. Sono deliranti. Alti, troppo altri. Troppo ventruti. Il coronamento, non so nemmeno se puo’ chiamarsi frontone, una volta é spezzato e si flette, un’altra ha delle specie di orecchie o un pennacchietto e ogni volta sembra fare le boccacce all’architettura classica. Sui lati ci sono delle cartelle dorate, specie di cartigli con la forma di uno scudo (il francese ha un termine preciso, agrafes). Si afflosciano in basso e s’inerpicano in alto, sono animati e malgrado la loro astrazionericordano delle forme organiche, conchiglie, anzi molluschi che s’avvinghiano a uno scoglio. La facciata dei mobili é convessa, i fianchi concavi. L’ondulazione di ogni elemento é il modulo ipertrofico e invasivo che si propaga in tutta la sagrestia. I credenzoni infatti sono legati da un bancone che serpeggia a mezza altezza lungo le pareti, alternando anche lui concavo e convesso.

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Agli angoli del locale, dove la giunzione a novanta gradi delle pareti avrebbe potuto creare un’interruzione, ci sono quattro bussole (4) curvilinee che nascondono l’angolo e completano l’impressione di moto perpetuo. Naturalmente i mobili, realizzati nel 1750, sono stati fatti per rispondere alla decorazione pittorica. La finta balaustra in prospettiva anche lei ondeggia e s’incurva. Quelle che vi ho descritto sin’ora sono le caratteristiche di uno stile intrinsecamente profano e che  si presta male a una declinazione in ambito sacro. E’ il Rococo.

La sintassi formale classica si disgrega e dà luogo a quelle escrescenze bizzarre al posto dei frontoni. Cio’ ch’era rigido nelle severe sagrestie barocche diventa oscillante e ricurvo. Cio’ che era stabile e permanente – almeno nella casa di Dio – si converte in un movimento perpetuo. Sono gli anni dei Viaggi di Gulliver (1726) e anche la scala si esaspera , con gli oggetti che diventano piccolissimi o immensi, senza rapporto con la funzione d’uso. Parafrasando il Milizia che, a proposito della piazza di Sant’Ignazio del Raguzzini aveva fulminato « …quelle ridicole case a forma di canterani » (5), qui si potrebbe dire il contrario : quei mobili assurdi, grandi quasi come delle case.

Le forme diventano ibride e i cartigli ricordano le conchiglie. Il Rococo tende verso l’organico – uno dei molti tratti in comune con l’Art Nouveau – e in particolare cio’ che é trasversale nella natura, come la conchiglia, situata tra il mondo minerale e quello animale. Vedete, non serve più a niente mettere un nome sulle cose, é un’illusione degli uomini quella di poter catturare il mondo con delle regole e delle definizioni.

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Se prendete continuità organica e ambiguità della forma e le trasportate su scala monumentale, ottenete la scalinata di Piazza di Spagna.

Nella sagrestia i mobili rispondono alla decorazione dipinta. Ora, nel Rococo l’arredamento non é più un assemblaggio di elementi singolarmente preziosi ma un insieme coordinato, sino a giungere ai mobili fatti per integrarsi nel decoro murale.

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Cosi’ avviene nell’appartamento di Cornelia Costanza Barberini e il marito Giulio Cesare Colonna di Sciarra, all’ultimo piano di Palazzo Barberini. Il divano é fatto per iscriversi nella specchiera.

Anticlassicismo, ibridazione e vitalità delle forme, dinamismo, esasperazione della scala : la sagrestia della Maddalena si situa all’apogeo del rococo, che coincide col papato di Benedetto XIV. Ma… non é il rocaille francese, con la sua levità irreale, né il rococo di Juvarra in Piemonte o quello di Domenico Vaccaro a Napoli.

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E’ quello del Valvassori a palazzo Doria Pamphilij sul lato del Corso, é il rococo romano, che possiede caratteristiche proprie. Molti elementi ornamentali derivano dal Borromini, rigore e nevrosi in meno. Altri dal Manierismo – per esempio le grotte con le loro rocailles –

Print, line engraving, Sir Francis Walsingham (1530-1590) (after Federico Zuccaro)by Jacobus Houbraken (Dordrecht 1698 - Amsterdam 1780).One of thirty-six engravings by Houbraken and Vertue, after original portraits, made for "The Heads of Illustrious Persons of Great Britain" by Thos. Birch and published in 1743.

o dallo stile auricolare disceso dall’Olanda sino ai cartigli di Federico Zuccari, e da quel poco di arte di Fontainebleau arrivato sin qui (6).

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Le modanature grasse e spesse dei credenzoni, quelle pure sono romane. Il Rococo gioca sul chiaroscuro, con rilievi deboli, non sulla plasticità. Ma qui siamo a Roma, dove il Barocco aveva visto fiorire un’illustre tradizione d’intagliatori di mobili con le loro statue di legno, e l’autore dei credenzoni non puo’ ignorarla. I mobili che realizza presentano un fortissimo effetto plastico.

Il Rococo é leggero, anzi, sovente sfida le leggi della gravità. E’ affascinante pensare come il virtuosismo, cioé la tecnica che permette di superare i limiti posti dalla materia, si declini in modo opposto rispetto al secolo precedente. L’illusionismo vurtuosistico di Padre Pozzo, ad esempio, mirava a sostituire il vero con il verosimile, per un più efficace coinvolgimento dei fedeli : si, si é aperta la volta e state davvero vedendo il cielo, Ignazio seduto su una nuvola, gli eretici che precipitano, credeteci, é tutto vero.

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La gracilità di certi mobili rocaille di B.V.R.B. (Bernard II Van Riesen Burgh), fatti di vuoto al punto che deve aggiungere una tablette per consolidare le gambe, esprime invece un mondo che non c’é. Rispetto alla drottrina classica di mimesis, il rococo « non vuole costituire un mondo derivato da quello dato, grazie a un processo d’epurazione, ma instaurare un universo autonomo e, al limite, inverosimile » (7). I nostri credenzoni non solo sono pieni e enormi, ma sono dipinti a finto alabastro. Li’ dove i mobili francesi si coprono di materiali fragili come la porcellana a pasta tenera o la lacca, qui da noi l’alabastro suggerisce una materia pesante, inscalfibile e perenne. La leggerezza e l’illusione di una vita diversa dovranno aspettare.

Conclusione : a Roma si recepisce il nuovo stile transalpino, se ne mutuano vari ingredienti, ma si declina secondo la cultura locale. Il lieve diventa pesante, l’effimero permanente, il minuscolo monumentale. L’architettura riesce meglio delle arti decorative, perché s’innesta sulle premesse locali che abbiamo visto.

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E riesce soprattutto quando é borghese, come piazza Sant’Ignazio,

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o civile, come nello scomparso porto di Ripetta dello Specchi. Ma a Roma il Rococo resterà una moda, non uno sguardo sul mondo. Intendiamoci, non c’é nessuna teoria del Rococo. Ma portava, patente e amorale, una vocazione all’incosistenza e alla libertà che a Roma, allora, non poteva passare. Certo non in una sagrestia. Antichità e Cristianesimo devono essersi appena accigliati al passaggio di questo stile parvenu che col pretesto dell’eleganza in casa dei principi voleva mettere dei grilli in testa alla gente. Io penso che se i credenzoni della Maddalena contravvengono a certe caratteristiche del Rococo, sia a causa del ritardo dell’Illuminismo a Roma. Non é un caso che questo stile sia contemporaneo del newtonismo o di Condillac. Non si accetteranno più idee prime, non ci sarà più conoscenza se non basata sull’esperienza. Il metodo empirico rimette la realtà – non Dio, non la tradizione, non i Maggiori – al centro del dibattito e, come dice Pope « the proper study of mankind is man ». Quest’uomo che grazie ai progressi della scienza e della tecnica agisce sulla realtà per migliorarla, produce poi, nella direzione esattamente opposta, un sogno di felicità che si smarca totalmente dalla realtà. Insomma, il fratello del laboratorio di fisica é il boudoir. Ora, a Roma i mobili alla moda andavano bene ma quanto a disfarsi dei principi primi, bisognava andarci piano.

Ecco, ho finito. Perché non condivido le mie opinioni ? Perché non sono affatto convinto che portare un giudizio morale su un credenzone sia una buona idea. Non posso impedirmelo, ma so che faccio una colpa ai credenzoni della Maddalena di non essere come avrei voluto io. Leggeri, felici, dimentichi del tempo. Come avrei voluto essere io quando scrivevo la tesi. Invece, sapete qual’é il segreto della felicità ? Prendere un credenzone per quello che é.

Note
1) L’incurvarsi della facciata é molto precoce, poiché risale al 1698, ma l’apparato decorativo é stato aggiunto nel 1735, in piena stagione rococo. Per la chiesa della Maddalena vedi la monografia di Alessandra Marino, « La Chiesa della Maddalena », 1995
2) Si tratta della meravigliosa cantoria dell’organo, che la Marino pensa si possa attribuire a Domenico Balbiani, lo stesso intagliatore dei credenzoni della sagrestia.
3) Attribuiti a Domenico Balbiani, intagliatore che viveva davanti alla Maddalena in una casa e bottega che appartenevano ai Ministri degli Infermi. Barbiani era un intagliatore affermato,  ha lavorato per quarant’anni per il cardinale Aldrovandi , per i Pallavicini Rospigliosi e i Barberini. Non sappiamo se i credenzoni sono stati realizzati su un suo disegno originale o se il modello é stato fornito da un architetto.
4) Due contenevano un confessionale e una terza un lavamano a forma di conchiglia, che risaliva al refettorio
5) in « Memorie degli architetti antichi e moderni », Parma, 1781
6) Galleria degli Stucchi a palazzo Spada ; Palazzo Sacchetti

7) Philippe Minguet, “Estéthique du Rococo”, J. Skin, 1966