Il Museo Profano raggiunse l’apogeo sotto Pio VI, quando contava 400 oggetti preziosi, tra gemme, cammei, intagli su cristallo di rocca o pietre tenere, vetri. Senza contare i bronzi e gli avori.

Stampa Museo Pio VI

In particolare, Benedetto XIV aveva comprato i celebri cammei della collezione Carpegna. Carpegna aveva commissionato degli scavi nelle catacombe, dalle quali erano emersi straordinari tesori, come il cammeo del Trionfo di Bacco. Poi arrivarono i francesi nel 1798. Oggi alcuni tra i pezzi più belli si trovano a Parigi, divisi tra il Louvre e il Cabinet des médailles. Ma molto purtroppo é sparito per sempre, trafugato dai  soldati. Il generale Berthier, tovato in possesso di alcuni cammei preziosi, sostenne che gli erano stati  spontaneamente donati da Pio VI. Il papa che  Berthier teneva prigioniero! Dei soldati giunsero persino a entrare nella stanza del papa dove, vedendo dei piccoli stipi, chiesero se contenevano dei gioielli. Il papa rispose che c’erano dei dolciumi. I soldati frugarono, trovarono solo dolci… e li mangiarono.

Armadio Profano

Pio VI aveva commissionato a Luigi Valadier delle  sbalorditive montature, che attirarono l’attenzione dei saccheggiatori. Questi capolavori erano contenuti nei quattro armadi, disegnati dal Valadier, che possiamo ancora ammirare nel Museo Profano, a un’estremità delle gallerie della Biblioteca. Altri oggetti preziosi ma a soggetto cristiano – come i vetri dorati donati da Francesco Vettori o Filippo Buonarroti, erudito discendente di Michelangelo – si trovano all’estremità opposta della Biblioteca, nel Museo Cristiano.

 

 

 

 

 

Il cammeo del Trionfo di Bacco fu  trovato in uno sterro della catacomba di Caledopio sulla  Via Aurelia, presso il Casaletto di Pio V. Bacco e un personaggio femminile, diversamente interpretato come Arianna o Cerere, conducono una quadriga trainata da tre centauri maschi e uno femmina. Straordinario per dimensioni – é largo 48 cm e alto 28 – si sviluppa su quattro piani di profondità, ricavati da  una lastra di onice. Il gesto di Bacco ricorda quello del console che getta la mappa in occasione dei giochi da lui offerti.

Valadier ha realizzato una cornice di smalto bianco su fondo azzurro, ornata  da trenta intagli e  quattro teste di Medusa, tutti antichi. Antichi  sono anche i pesciolini che nuotano sulle onde di pasta di vetro alla base. La montatura fa del cammeo un quadro preziosissimo, oggetto da cabinet de curiosités. Evitando nel suo intervento le grandi superfici piane, Valadier riesce a circondare il cammeo di una cornice fastosa senza metterla in concorrenza col cammeo. Il nitore della composizione  e le due leonesse di bronzo dorato, che fungono da supporto, anticipano lo stile Impero; ma la varietà degli elementi, il gusto visionario, la policromia sono  un  retaggio del Rococò,  che qui viene però riordinato e sistematizzato. Era la stagione più bella del Neoclassicismo, non ancora sclerotizzato dalla filologia.

Cammeo Augusto testa

Il capolavoro assoluto era il Cammeo d’Augusto. Questo é un’opera strana, tra il cammeo e la scultura a tutto tondo. La testa d’Augusto é in calcedonio bianco, il cui colore ricorda la carne. Il tipo é quello di Prima Porta e la fattura é molto fine, specie nel viso. Il busto presenta un’accentuata asimmetria dovuta probabilmente alla forma del blocco. La particolarità di questo ritratto é che la testa é inglobata in una sfera di calcedonio che si distingue nettamente sul retro. Il taglio netto e stondato alla base del busto lascia pensare che questo capolavoro di glittica imperiale fosse destinato a essere incastrato su un’asta, forse addirittura uno scettro. Non sappiamo a chi appartenesse, é stato trovato  nel Cimitero di Priscilla.

Base colonna Claudia Prado

Per la montatura Valadier si é ispirato a un’opera antica famosa e oggi conservata al Museo del Prado,  la cosiddetta Apoteosi di Claudio. La base fu trovata negli anni 1640 sulla Via Appia nella villa di Marco Valerio Messalla Corvino, intimo di Augusto. Probabilmente sormontava un piedistallo contenente l’urna con le ceneri di Messalla Corvino.

Apoteosi di Claudio ricostruzione                      Busto re

Il cardinale Girolamo Colonna chiese allo scultore Orfeo Boselli di completarla con un busto di Claudio, oggi perso, che ha originato il nome, improprio, di Apoteosi di Claudio. La base antica, anche dopo essere stata portata dal Colonna in Spagna come dono, ha continuato a impressionare gli artisti. Bernini se ne é ispirato per la base del busto del Re Sole da lui realizzato a Parigi nel 1665, suo capolavoro nella rappresentazione di un sovrano secolare. Questa base non fu mai realizzata ma é descritta nel Journal di Chantelou.

Cammeo Augusto prigionieri                 Panoplia con aquila

Valadier su una base di marmo nero di Tunisia e un gradino di rosso antico posa sei schiavi di bronzo separati da falere antiche  di agata rappresentanti dei visi. Le falere  erano decorazioni di armature, in metallo o, le più preziose, in pietre dure come le nostre, che ornavano armature o cinghie. Infine, un’aquila di bronzo dispiega le ali  su una panoplia con una bandiera e un’ armatura di cristallo di rocca.

Figuratevi che questi capolavori dell’oreficeria del Settecento furono smontati alla fine del XIX° secolo in nome di un ottuso rigorismo che rigettava quanto non era antico. Le montature del  Valadier furono poi rimontate a metà del secolo scorso.

Di quei tesori oggi al Vaticano restano solo i contenitori, essi stessi dei gioielli d’ebanisteria. I quattro armadi, completati nel 1785, poco prima che Luigi Valadier si suicidasse, furono  realizzati dai migliori ebanisti, come Andrea Mimmi, noto  intarsiatore. Pio VI non badò a spese e vennero usati legni pregiati come l’angelyn, o andira, legno durissimo importato dal Brasile, il cui frutto é velenoso, e il sandalo.

Museo Profano oggi

Sono  esposti in uno spazio eccezionale, vero Gabinetto di Curiosità del Settecento, con una compartimentazione di stucchi sulla volta ripresa dai marmi rari al suolo. Purtroppo le opere più belle sono scomparse. Solo un busto di Traiano é scampato al sacco. Le opere esposte oggi in quegli armadi furono trovate nel XIX° secolo, quando Pio VII e soprattutto Pio IX cercarono di risarcire la collezione. Ma la loro qualità non è comparabile a quanto perduto. Gli italiani non si seppero imporre nel 1815, quando le statue antiche vennero recuperate, e oggi i meravigliosi cammei di Pio VI si trovano al Louvre, nella stessa sala del Tesoro di Boscoreale.

 

tesoro Boscoreale

Quella é un’altra ferita gravissima nel patrimonio nazionale – è uno dei massimi tesori romani antichi –  che non fu rubato ma semplicemente comprato dal barone Rotschild, complice l’indifferenza e la stupidità del governo italiano.