Al Palatino riapre, con una bella mostra, un luogo incantato, gli Orti Farnesiani.  Sono i giardini che i Farnese realizzarono alla fine del Cinquecento sulla collina dove un tempo vivevano gli imperatori. Non solo i Farnese s’investivano così del prestigio unico di quel luogo ma, dopo il tragico Sacco di Roma del 1527, la creazione dei giardini sul sito della prima Roma, la Roma Quadrata, rappresentava una sorta di atto di rifondazione della città.

 

Gli Orti non erano una residenza ma una foresteria, dove si accoglievano ospiti illustri, si banchettava o assisteva a eventi importanti, come le cavalcate trionfali del papa quando da San Pietro andava in Laterano.
  Quasi nulla resta delle costruzioni e quando oggi i turisti passano davanti ai miseri resti del Ninfeo degli Specchi, non immaginano che quella era una fontana sontuosa, ornata da gigli di smalto blu, mosaici di sassi, concrezioni di tartaro, schizzi al suolo per bagnare gli ignari visitatori e addirittura dei veri specchi tenuti da telamoni. Il tutto forse firmato da Pirro Ligorio.


Le due uccelliere furono trasformate in casa dall’archeologo Giacomo Boni, che lì viveva per non allontanarsi dal luogo che ha più amato. Privilegio inestimabile, lì riposa per sempre, tra il profumo degli aranci e il Foro solenne ai suoi piedi.  La sera, quando i turisti vocianti evacuano i luoghi, si gode, solo, felice, quel senso d’immortalità.

Concludo col muro scomparso nel 1883. Gli Orti possedevano mura che dal lato del Foro erano dotate di eleganti finestre.  Dietro c’era un curioso ballatoio. Chi ci passava, anziché godere della vista totale delle rovine, dal Campidoglio al Colosseo, vedeva delle “cartoline”, le immagini selezionate dalle finestre. Era un espediente squisitamente manierista che distillava il paesaggio glorioso scomponendolo in quadri.

Poi, giunti in cima, dove cantavano gli uccelli delle preziose uccelliere e all’ombra degli alberi alti, appariva Roma tutta. Domenica andate a fare una passeggiata nel giardino delle Esperidi e il premio della virtù, quella di aver rinunciato alla partita in televisione, sarà la felicità.