Straniero e solo – non si era mai sposato – vecchio come poteva esserlo allora un sessantenne, povero, molto malato. Il pittore tedesco Christian Berentz nel 1718 sapeva che stava per morire. Giunse allora la Provvidenza, sotto l’aspetto dell’Alfiere Probsat, un ricco svizzero che occupava una carica importante alla corte papale. Prima lo fece curare a sue spese, poi gli trovò addirittura un posto all’Ospizio di San Michele. Grazie a lui Berentz visse ancora quattro anni e dipinse i quadri dei quali vi voglio parlare. Che poteva offrire un pittore povero per sdebitarsi, se non dei quadri ?   Ne dipinse alcuni per Probstat e probabilmente il figlio di questi li donò al cardinal nipote, Neri Corsini. Oggi potete vederli alla Galleria Corsini, dove soffrono dell’incomprensibile vicinanza con Caravaggio.

Nato a Amburgo nel 1658, Berentz aveva cominciato a dipingere dei sontuosi quadri di fiori e frutta, lasciando le figure agli specialisti, come Carlo Maratta.  Lussureggianti opere di un barocco attardato, come quella famosa conservata a Capodimonte, rivelavano la conoscenza, in quest’uomo del Nord, di Breugheul dei Velluti, per i fiori,  e dei quadri di tavole imbandite di Anversa, come quelli di Osias Bert.

Nelle nostre, ultime opere, l’abilità sorprendente nella resa delle materie e la capacità d’imitare il vero si esasperano in modo nevrotico. Lo scopo non é più l’illusione della verità, lo scopo é smascherarne la vanità. L’uomo appena sfuggito alla morte e che sa di godere solo di un breve rinvio, si accanisce sull’aspetto delle cose, così presenti eppure così effimere, preziose e inutili. Testimoni indifferenti, spietate nella loro singolarità, esistono senza vita in un mondo ormai abbandonato dagli uomini.

La Natura morta con orologio é forse più strabiliante di virtuosismo, con la fiasca di madreperla iridescente, il bicchiere stemmato in cristallo di Boemia più spesso del sottile calice di Murano col vino. L’ordine maniacale della disposizione ne fa un defilé surreale, come quello degli abiti da cardinale nella Dolce Vita. Sarebbe bastato così.  Purtroppo la chiosa moraleggiante dell’orologio in primo piano guasta con la sua didascalia il fasto onirico dell’immagine.

Lo spuntino elegante é più narrativo.  Racconta un’improbabile colazione rustica, col filone di pane e il salame pepato, servita su vaisselle preziosa,  con posate d’argento e calici raffinati posti su un povero tavolo di legno nodoso. Ma  stavolta Berentz trova due effetti drammatici efficaci, la scatola vuota e il cassetto aperto. La scena é stata abbandonata, nessuno tornerà a farsi un panino.  Svuotata la scatola, il cassetto non é stato richiuso perché l’abitante dei luoghi é uscito per sempre. I bicchieri sono ancora pieni, le due metà dell’arancia intatte come il pane. Che peccato, nemmeno il tempo di cominciare che già ti chiamano e bisogna andar via.

Guardo il giovane zazzeruto di Caravaggio, lì vicino. Il viso e le mani abbronzate del modello preso dalla strada, lui sta per alzarsi perché ha udito la chiamata. Lui sta per cominciare il suo cammino. Vi stupirò, ma alla fine preferisco Caravaggio.